Brahms, Esattamente e integralmente
Daniele Gatti dirige con l’Orchestra Rai le quattro «Sinfonie» del compositore tedesco, tenendo insieme l’aspetto speculativo e quello agreste. Notevoli le due spalle, in gara di bravura
Misteri. Fino all’anno scorso non aveva mai diretto un concerto con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Forse aveva l’agenda occupata. Forse non veniva invitato. La vita musicale italiana è fatta di percorsi sotterranei a volte insondabili. Meglio andare oltre. Attenersi ai fatti. Eccoli: Daniele Gatti, bacchetta internazionale, milanese di nascita, di casa a Parigi, Amsterdam e di nuovo a Roma – trentenne a Santa Cecilia, ora al Teatro dell’Opera - nel 2020 viene a sorpresa chiamato a Torino. La sua Nona di Mahler incanta orchestra e pubblico (si era a gennaio, pre-pandemia) e probabilmente non solo loro. Anche il Maestro.
Che infatti da allora ritornerà con continuità, sul medesimo podio, per programmi diversi. Ben sei. Cioè, facendo i conti, più di quelli che altri presentano, magari fregiati dei galloni di direttore principale. Ultimo raccolto di questa semina fruttifera di concerti a porte chiuse, trasmessi attraverso le consuete dirette di RadioTre, ora in video, in streaming sul portale di RaiCultura e su Rai5, il 9 e 10 giugno prossimi, sono arrivate le quattro Sinfonie di Johannes Brahms. Eseguite a coppie, prima le dispari (n.3 e n.1) e poi le pari (n.2 e n.4), per una integrale che ha reso tangibili il concreto lavoro, la reciproca stima, tra podio e strumentisti. A segnare uno dei punti fermi nella storia della Nazionale Rai. E di questo nostro tempo.
I programmi e le stagioni, mai come nella tempesta del virus sono stati messi a dura prova. Ne sa qualcosa il direttore artistico della Sinfonica torinese, Ernesto Schiavi, che si è trovato più volte a dover modificare in corsa cartelloni pronti, ma piegati dal continuo susseguirsi di restrizioni. All’Auditorium Toscanini però la musica non ha mai taciuto. E dato che la fortuna premia gli audaci, ecco che proprio nelle due ultime puntate della “musica-per-poltrone-vuote”, come una corona è planata l’integrale Brahms. Punto fermo per concludere, e da cui ripartire. Nessuno avrebbe potuto prevedere se, quando e come si sarebbe arginata la meno immaginabile esperienza della nostra vita artistica, quella delle esecuzioni in totale solitudine. Qui, pensando in grande, si è sognato. E il sogno è diventato una fine memorabile.
Gatti da sempre ama le integrali. Le sa costruire. Conferisce loro originalità, secondo intuizioni e propositi interni. Ricordiamo la sua prima, un tutto Beethoven quando era poco più che studente di Conservatorio. Ma poi anche l’ultima con Beethoven, entusiasmante, nei piccoli teatri di Lombardia e insieme alla Mahler Chamber Orchestra. Per far conoscere LaFil, la nuova compagine creata a Milano un paio di anni fa, l’aveva impegnata in due maratone, quattro più quattro, Brahms-Schumann, meravigliose. Di nuovo sul medesimo sinfonismo romantico, in confronto ravvicinato - un edificio che giganteggia, mentre contemporaneamente si sbriciola - il direttore ha portato nel mese scorso Schumann in tournée in Spagna, con la MCO, e ora appunto Brahms a Torino. Puntando a obiettivi evidenti.
Innanzitutto la definizione di suono. Non teutonico, perché le nostre orchestre non lo sono. Ma pieno. Cioè sensibile alla tinta diversa delle quattro Sorelle. Ciascuna con un carattere. Restituito attraverso lo spessore timbrico, sciolto in articolazioni spianate. Anche un poco forzate, dove necessario. Coinvolgendo tutte le sezioni, comprese le tradizionalmente deboli.
La distribuzione dei leggii in orizzontale sull’intera platea, coi fiati a distanza, alle spalle, spaziati sulle gradinate dell’anfiteatro, visivamente contribuiva all’evidenza di ogni strumento. A Berlino, i Filarmonici già da qualche concerto sono tornati alla disposizione originale, con gli archi a coppie e una compattezza che fa bene alla musica, non solo come gesto simbolico. Auspicabile torni presto da noi. Perché la Nazionale Rai sfoggia tante giovani leve, entrate fresche nei ranghi e eccellenti, ma erano proprio loro a mettere tristezza. I ragazzi. Isolati e privi di quel naturale contatto che fa un’orchestra.
Il Brahms di Gatti - memoria di ferro - tiene insieme le due facce del compositore: quella speculativa, astratta, giocata principalmente sulla frantumazione dell’idea tradizionale di tempo (che infatti è in mutazione progressiva) e che il gesto del direttore plasma, contenuto, esatto; e quella invece agreste, bucolica, nostalgica, semplice (si fa per dire, perché sempre esposta nell’intonazione) affidata alle finestre dei fiati. Notevoli le prime parti Rai.
Sia nella prima che nella seconda tornata di Sinfonie. Con alternanza delle due spalle in gara di bravura, nelle personalità diverse. La chiave italiana per supplire alla graniticità, estranea al nostro dna, si fondava sull’esaltazione del passo cameristico, fatto di temi luminosi e in continuo rilancio tra le sezioni, disegnati con chiarezza. Stupendi i finali, così brahmsiani nello stare sospesi, tra rivoli melodici ancora pronti ad affiorare. Oppure negli incastri ossessivi, infiniti.
Una cattedrale la Passacaglia della Quarta, vero addio programmatico alla Sinfonia. Perché Brahms - come Beethoven e Mozart - sapeva esattamente dove metterle la parola fine.
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Di Carla Moreni - Da Il Sole 24Ore – Domenica 09 maggio 2021