Il Bene e il Male. Dio, Arte e Scienza
L’anticipazione Due voci fuori dagli schemi si interrogano sul mistero: uno scambio libero e senza confini che ha dato vita a un volume in uscita il 17 settembre per La nave di Teseo. Qui ne pubblichiamo alcuni estratti
Giorello e Sgarbi
Dialogo per il futuro
dialogo tra GIULIO GIORELLO e VITTORIO SGARBI
Scienza, arte, etica, morale: un confronto serrato
tra il critico e il filosofo da poco scomparso
GIULIO GIORELLO — Io credo che la grande scienza e la grande arte incrinino le aspettative consuete e indichino nuovi modi di vedere il mondo, ricchi e significativi. E non solo cambiano il modo di vedere il mondo, ma cambiano anche il nostro modo di stare nel mondo. Pensiamo al grande successo dei vaccini, per esempio, o alle grandi conquiste della scienza della prospettiva, che ha permesso di vedere in modo nuovo il rapporto tra l’osservatore e il mondo. Sono grandissime operazioni culturali. Sono convinto che proprio ciò costituisca la vera grande forza dell’impresa scientifica.
VITTORIO SGARBI — Di certo il rapporto fra arte e scienza è fondamentale. Vedi, quando da bambino ti fanno quella domanda inquietante, «Che cos’è l’arte?», tu non sai cosa rispondere tanto è vasta la materia. Poi capisci: l’arte è un modo nuovo di far vedere il mondo. L’artista è tale perché vede prima di te quello che tu scorgerai quando te l’avrà indicato. Brecht diceva: «Se vuoi diventare una guida devi dubitare delle guide». L’arte è questo: un modo nuovo di vedere il mondo, cui l’artista è arrivato per primo.
Pensa a Turner, che rovescia l’assunto rinascimentale dell’uomo come centro per arrivare alla concezione romantica della natura più grande dell’uomo; pensa alla prospettiva rispetto alla visione medioevale; pensa al Futurismo… L’arte è veramente «visione», anche se non è fatta da visionari: ti consente di vedere il mondo con gli occhi di un altro, per come lui l’ha visto prima di te. L’artista, con la sua intuizione, è un anticipatore. E la scienza è qualcosa di analogo. Prendiamo il passaggio dal mondo tolemaico a quello copernicano: un cambio di visuale radicale. In questo, arte e scienza sono affini, perché entrambe sono espressioni della mente dell’uomo; sono movimento della mente, che quando si muove trova punti di vista diversi. In quest’ottica, la sregolatezza che possiamo evocare con personaggi quali Caravaggio e Giordano Bruno non è altro che contraddizione dell’ordine precedente. Cioè, non è che l’artista sia sregolato perché è viziato o perverso…
GIULIO GIORELLO — Lo è perché va contro la tradizione che ha ereditato. Per esempio la concezione dell’universo infinito che Giordano Bruno fa sua va contro la tradizione con la quale doveva confrontarsi. E gli ci vuole coraggio per postulare un universo infinito, senza margini o confini.
VITTORIO SGARBI — Esattamente. Quello che chiamiamo «sregolatezza» è invece un ordine nuovo, che naturalmente si accompagna all’isolamento che l’artista vive rispetto a quanti la pensano nell’altro modo, nel modo tradizionale; un isolamento che magari gli causa traumi o nevrosi, e lo porta alla necessità di drogarsi, di ubriacarsi… Insomma, la sregolatezza letta in termini morali c’entra poco, perché è una compensazione psicosomatica di un turbamento che si vive per la propria diversità. Ti percepisci diverso, e quella diversità ti porta talvolta all’incapacità di trovare un equilibrio; diventi sregolato perché sembra che le regole ti diano torto. In realtà hai dimostrato che le regole non sono incontrovertibili, insostituibili e non passibili di revisione. Il grande artista sarà anche sregolato, ma lo è come conseguenza di uno sregolamento della mente, di un uscire dalle regole che hanno fino a quel momento guidato il mondo.
GIULIO GIORELLO — Io ritengo che la scienza possa benissimo rompere alcuni dei presupposti morali più noti. Pensa ancora a Giordano Bruno, a una scienza che parla di un cosmo infinito in cui non c’è un centro; o meglio, in cui può diventare centro il punto che ciascuno meglio crede. Ebbene, questa è anche una conquista di relativismo politico, morale; ed è un fatto molto importante nella progressiva liberazione dell’essere umano dalle forme di assoggettamento più tradizionali. Giordano Bruno si presta meravigliosamente a tutto questo. Naturalmente non era uno scienziato nel senso nostro del termine, però era un grande visionario capace di intuire quale sarebbe stata la forma dell’universo una volta che si fosse andati fino in fondo nell’accettare appunto il cosmo infinito, e quando fosse stato messo bene in luce cosa significa avere un cosmo dove non c’è un centro. Il centro è in ogni punto, dove vuoi, ovvero non c’è. Questo è l’elemento potentissimo di Giordano Bruno. Una visione che i grandi scienziati del Seicento non erano molto disposti ad accettare, ma che si sarebbe poi imposta.
VITTORIO SGARBI — Intanto bisognerebbe dire, e tu lo sai bene, che etica e morale sono sinonimi, quindi farei fatica a distinguere tra le due. Non c’è una morale che non sia etica e un’etica che non sia morale. Come termine, «morale» viene semplicemente da mores, i costumi. I costumi dell’uomo sono qualcosa che si sovrappone ai principi logici, gnoseologici, fisici e metafisici. C’è una struttura del mondo che avrebbe un suo andamento, poi intervengono i costumi che — come diceva Senofane o lo stesso Giordano Bruno — fanno sì che il cavallo immagini Dio come un cavallo, e l’uomo bianco come un uomo bianco. I costumi diventano una variabile di valori più oggettivi legati ad altri ambiti del sapere. Dunque la morale condiziona la scienza, l’arte, i comportamenti. La morale è la consuetudine che prevale su dati fondamentali. Per esempio, l’uomo nasce nudo, quindi è normale che sia nudo. Eppure, se immagini una società in cui gli uomini vadano in giro nudi invece che vestiti troverai chi ti dice che è immorale. Io trovo immorale che siano vestiti! (...)
GIULIO GIORELLO — Non amo molto che uno valga uno: non vedo perché qualcuno uscito dai social debba avere uno status privilegiato. Lo dico sinceramente: è una cattiva democrazia, una degenerazione della democrazia che non ha niente a che vedere con l’interesse che può avere un pubblico serio per la ricerca scientifica. Le varie polemiche sui vaccini lo hanno dimostrato ampiamente. Le uscite sui social sono talvolta oscurantiste, grottesche e regressive.
Questa democrazia social è molto poco social e molto poco democratica, se devo dirti il mio parere. Non è così che uno gioca l’informazione in chiave democratica, e va a controllare la formazione delle opinioni. Le campagne ridicole pro o contro i vaccini, le lotte in cui il mondo viene diviso fra coloro che sono per vaccinare tutti e quelli che dicono che i vaccini sono una cosa spaventosa: sono forme ridicole di impostazione, e vanno contro quella onesta capacità di informazione di cui peraltro la buona medicina si è dimostrata, anche nel nostro Paese, estremamente capace.
VITTORIO SGARBI — Diciamo che il dato fondamentale è che il potere dei social è un potere di influenza sul piano della persuasione occulta. Non è un potere reale: è un potere persuasivo, nel senso che il consenso o il dissenso dei social può influenzare quelli che sono influenzabili. Quindi non è un potere reale, ma un potere manovrato.
Io non credo che rischiamo veramente una democrazia diretta basata sui social. Certo, possono influenzare, hanno un potere di «persuasione quantitativa», diciamo, ma la ragionevolezza rimane tutta, almeno in alcuni. D’altra parte quelli che ragionano sono sempre un numero limitato, quindi non è che dobbiamo pensare che le masse ragionino. Le masse hanno sempre, in un modo o nell’altro, subìto: un tempo l’influenza della televisione, prima ancora l’influenza delle persuasioni legate alle grandi idee che hanno mosso la storia…
Ora, però, si procede per contagio inverso: il contagio delle masse sulle minoranze. Ne consegue che i social sono una forma di virus, un virus contagioso sul piano della persuasione, che però non incarna la verità. E se un’influenza del genere è priva di sostanza, mostra in fretta la corda: muta e poi svanisce. (...)
GIULIO GIORELLO — Un aspetto centrale nell’impresa scientifica è che la sua comunità di riferimento non si trova sempre d’accordo su tutto. E in certi casi — non dico sempre — tale divergenza porta a maggiore ricchezza nelle ricerche. Questo è ciò che ci hanno insegnato due grandi rivoluzioni: una della fisica — quella che va da Galileo a Newton, per intenderci — e l’altra quella darwiniana. Secondo me la ricchezza offerta da diversi punti di vista è fondamentale, e voler normare tutto e farlo diventare ortodossia scientifica è una delle cose più gravi nei confronti della ricchezza dell’impresa scientifica. Quando chiesero a Niels Bohr: «Lei è il rappresentante dell’interpretazione ortodossa di Copenaghen della meccanica quantistica?», lui rispose: «Ortodossa? Ma di cosa sta parlando?».
VITTORIO SGARBI — Io credo ci sia più ortodossia nell’arte che nella scienza. Nel senso che la scienza deve procedere per forza di dubbi, attraverso sperimentazioni e ricerche… Quindi, ogni volta che la scienza arriva a una certezza, è passata attraverso mille incertezze. L’arte, invece, non ha mai incertezza. Perché non si muove verso l’obiettivo della salute pubblica, della guarigione o della soluzione di problemi che riguardano l’umanità e la corsa per trovare un modo per sottrarla alla morte, come se la morte non fosse la cosa più naturale del mondo. Noi abbiamo una visione ipersalutistica per cui solo la salute è un valore assoluto, e lo stiamo capendo in questi giorni. E, permeati da questa visione, affidiamo alla scienza un compito risolutore che la rende potentissima. Le affidiamo la nostra speranza.
Nessuno chiede speranza all’arte. L’arte parte in modo dogmatico, ortodosso, e nella convinzione dell’assoluto che è, credo, la sua forza più alta. Ogni artista è assoluto, non c’è un artista relativo. Poi possiamo giudicarlo più o meno bravo. Quindi c’è molto più dogma, molto più assolutismo nell’arte che nella scienza. La scienza è per sua natura relativa, perché si supera, si scavalca, trova soluzioni sempre diverse a problemi sempre nuovi. Da questo punto di vista ribalterei il rapporto, perché nell’arte c’è l’assoluto e nella scienza il relativo.
GIULIO GIORELLO — Dobbiamo smetterla di pensare che tutto quello che è adesso scienza «occidentale» sia nato in Occidente. Pensiamo per esempio agli studi sui numeri, ai sistemi di numerazione con o senza lo zero. Ebbene, questo territorio affascinante e ricchissimo — che dobbiamo ancora, con una serie di ricerche, rivalorizzare — concerne elementi che per noi, oggi, sono l’Occidente. «Oh, già, figurati: le cifre… 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9…». E poi? Cosa c’è prima? Lo zero. Questi sono aspetti fondamentali. Vale per l’aritmetica, vale per la geometria, è valso per certi versi per la fisica. È affascinante vedere, per esempio, come, nello stesso periodo in cui con fatica Galileo Galilei e i suoi sviluppavano il cosiddetto metodo degli indivisibili, si stava facendo qualcosa di analogo anche in Cina. La scienza è apertissima, e prende da dove le pare. È questa la sua ricchezza, la sua forza. Tentare poi di metterci delle censure e di bloccarla è una delle azioni più insensate che si possano concepire.
VITTORIO SGARBI — Credo che il problema sia quello dei confini. Noi non possiamo porre confini alla cultura in tempi in cui tutto è legato, tutto è connesso. È evidente che l’Occidente può produrre intelligenza e risultati in ordine a investimenti economici che la scienza presuppone, ma questo è altrettanto possibile — anzi, è certo — per la Cina, per l’Oriente, per l’India, per il mondo arabo. In parte perfino per l’Africa. Non abbiamo più un confine nel mondo, tant’è vero che sono finite le colonie, sono finiti i colonialisti. C’è stato un tempo in cui noi scorrazzavamo su un’area colonizzata di cui l’Europa era il riferimento e la madre, ma ormai quel dominio si è sgretolato e quegli Stati hanno ottenuto l’indipendenza. Per cui non c’è più una centralità dell’Occidente. L’Occidente è stato centrale in un dato periodo, oggi non lo è più. Oggi l’ultima periferia può essere più centrale di Parigi o di Londra. Non esiste più una contrapposizione fra Occidente e Oriente, o tra cultura occidentale e cultura orientale. La cultura oggi è veramente globale, e ciò garantisce che un’idea innovativa possa germogliare ovunque, nel luogo più remoto del mondo, dove qualcuno la studia e la mette a disposizione di tutti.
GIULIO GIORELLO — Questa è proprio la forza della cultura. Intendo «cultura» in senso assoluto; non la cultura cinese, la cultura greca, quella indiana: la cultura in quanto tale.
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Dal Corriere della Sera, 13 settembre 2020