Petti Rosso Bio - Azienda Fausto Mansio
«Tutto il treno, insomma, scese, e il viaggio proseguì con le sole vetture vuote al sole, e io mi domandai perché non fossi sceso anch’io.»
«Avevo, ad ogni modo il biglietto per Siracusa, proseguii il viaggio nella vettura vuota, al sole, attraverso una pianura vuota.»
«Così fui solo e la campagna fu di rocce in riva al mare»
Elio Vittorini – Conversazione in Sicilia
La Fausta Mansio di Olaf Consiglio è un’azienda agricola, estesa su una proprietà di 10 ettari, coltivati biologicamente ad uliveto e vigneti; dislocata in Val d’Anapo nel siracusano, che deve la sua notorietà, in epoca antica, alla presenza del papiro.
L’azienda cura vigneti che sorgono su terreni collinari sui quali, a circa 50 metri sul livello del mare, vengono raggiunti dalla brezza marina che conferisce un pregio tutto particolare al moscato di Siracusa che in questa azienda, anche, viene prodotto: ma il pregio della pianta è dovuto principalmente alla struttura argillosa del terreno che, associato a temperature proprie di un clima particolarmente caldo, offre alla raccolta, nel mese di agosto, uve di particolare valore.
Qui si produce il Petti Rosso, il vino che, in prossimità del porto turistico di Siracusa, abbiamo
gustato in un locale sulla strada del mercato agroalimentare: un nero d’Avola, prodotto del vitigno autoctono siciliano a bacca nera, con un’origine incerta, anche se coltivato in Sicilia da moltissimi secoli e che reca oggi l’inconfondibile nome che lo riconduce ad Avola, appunto, in provincia di Siracusa.
Assaporiamo insieme la parte in cui il treno si ferma a Siracusa
Petti Rosso è un vino fermo e secco, prodotto in seimila bottiglie dalla Fausta Mansio, lo abbiamo gustato in viaggio, in una Siracusa calma e leggera, non ancora invasa dai turisti: e a Siracusa ci ha accompagnato nel gustare le pagine di un capolavoro della letteratura Italiana del Novecento, autore Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia: un romanzo il cui protagonista Silvestro Ferrauto, ricevuta la lettera in cui il padre gli comunica di avere lasciato la moglie per seguire un’altra donna, intraprende un viaggio alla volta della Sicilia, dove intende ritrovare sua madre. La serie di incontri, che costellano il lungo viaggio che parte dalla stazione di Bologna (all’epoca in treno; oggi neppure si prenderebbe in considerazione, preferendo un volo diretto a Fontana Rossa a Catania dopo un brevissimo viaggio dove le uniche persone a parlare con noi sarebbero hostess e steward), restituiscono una rappresentazione allegorica della realtà dell’uomo che, secondo la felice definizione di Sergio Patausso, rende Conversazione in Sicilia «una sorta di grande poema lirico con un taglio narrativo, con un susseguirsi di immagini e di situazioni simboliche che diventano uno specchio dove si rinfrange la desolata condizione umana».
- Avete una bella voce da baritono, voi.
Subito egli arrossì.
- Oh! - disse.
- Perché? Non lo sapevate? - dissi io.
- Oh, quanto a saperlo lo so, - egli disse, roso e contento.
E io dissi: - Naturalmente. Non potevate esser vissuto sinora senza saperlo. Peccato che vi siate impiegato al Catasto invece di cantare...
- Già, - egli disse. - Mi sarebbe piaciuto… Nel Falstaff, nel Rigoletto… Su tutti i palcoscenici d’Europa.
- O anche per le strade, che importa? Sempre meglio di fare l’impiegato, - dissi io.
- Oh, sì, forse… egli disse.
E tacque, un po’ sconcertato, e restò in silenzio, masticando, e dietro la curva della campagna di roccia apparve, contro il mare, la roccia del Duomo di Siracusa.
- Eccoci a Siracusa, - io dissi.
Egli mi guardò e sorrise.
- Così siete arrivato, - osservò.
Ci salutammo, il treno entrò in stazione.
[Da Conversazione in Sicilia, di Elio Vittorini]
E, a Siracusa, passeggiando attraverso quella «roccia del Duomo di Siracusa» citata da Elio Vittorini, abbiamo potuto incontrare «Il Seppellimento di santa Lucia, il dipinto di Caravaggio, conservato nella chiesa di S. Lucia alla Badia, appunto, in Piazza Duomo. Qui Caravaggio venne a trovarsi per motivi esattamente opposti a quelli che vi avevano portato Silvestrio Ferrauto, in quanto Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio nell’ottobre del 1608 vi giunse a seguito di una rocambolesca evasione dal carcere di Malta dove era rinchiuso per un omicidio che aveva commesso. Forse grazie ad un amico pittore messinese Mario Minniti, conosciuto a Roma nella bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli, a Siracusa ebbe la possibilità di lavorare a servizio del Senato siracusano, tenuto in considerazione dagli storici dell’arte tra i possibili committenti sull’individuazione dei quali ancora grava una generale incertezza. Caravaggio realizzò il quadro come pala per l'altare maggiore della Basilica di Santa Lucia al Sepolcro (o Fuori le Mura), ove secondo la tradizione avvennero il martirio e il seppellimento della Santa Patrona della città.
Apparentemente nulla sembrerebbe accomunare due viaggi così abissalmente diversi, ma, se guardiamo con attenzione, ci accorgiamo che sono entrambi scanditi dal peso della condizione che grava sui protagonisti: Ferrauto attraversa le molte vite dei suoi incontri mentre è in cammino per tornare ad orientarsi in una famiglia che è andata in frantumi dopo che l’ha lasciata a soli quindici anni, Caravaggio vive nell’ossessione della condanna alla quale tenta di sottrarsi.
Una rappresentazione della condizione umana che non sfugge all’occhio dell’artista, anche quando non viaggia, come nel caso di Emiliy Dickinson, che ci ricorda come non avremo vissuto invano quando avremo alleviato «il dolore di una vita» o guarito «una pena» o, appunto, aiutato, «un pettirosso caduto a rientrare nel nido».
EMILY DICKINSON
If I can stop one heart from breaking
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If I can stop one heart from breaking
If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain
Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in Vain
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Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
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Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano
Anche quando sono così semplici e trasparenti, i versi di Emily Dickinson riescono a far vibrare le corde più intime e profonde dell’anima. La sua è, tra l’altro, una testimonianza autentica perché la poetessa trascorre la quasi totalità della sua vita di cinquantasei anni (era nata nel 1830 e morirà nel 1886) nella sua stanza e nel giardino della casa paterna di Amherst nel Massachusets.
[Da Breviario dei nostri giorni, di Gianfranco Ravasi]
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