Il gomito del viaggiatore
di Eliezer Budasof, Etiqueta Negra, Perù
Si dice che viaggiare aiuta a superare i pregiudizi, ma qualsiasi viaggio da soli comincia con un momento di discriminazione: dopo esserci seduti in autobus o in aereo, guardiamo quelli che avanzano nel corridoio e dentro di noi scegliamo chi preferiremmo come vicino.
È un monologo interiore che non conosce il politicamente corretto: fa che non mi capiti quel signore anziano che cammina a fatica, quella donna con un bambino frignone, quella signora che barcolla con i suoi centoventi chili o quell’uomo sudato che non vede l’ora di raccontare a tutti la sua vita. Di solito il primo desiderio è misantropo: vogliamo che il posto accanto a noi resti vuoto.
È un’eventualità così improbabile che subito passiamo a un secondo desiderio: speriamo che chi ci siede accanto sia del sesso che ci piace, che non parli troppo, che non tossisca o starnutisca, che non abbia grossi bagagli o mille pacchetti, che non si metta a curiosare alle nostre spalle, che non russi e che resti immobile durante il tragitto.
Vorremmo scegliere i nostri casuali compagni di viaggio come se ci dovessimo passare insieme mezza vita, ma dobbiamo accettare di viaggiare cinque ore accanto a uno sconosciuto scelto dal destino. Steinbeck diceva che un viaggio è come un matrimonio: “Il modo più sicuro di sbagliare è pensare di avere il controllo”.
Quando lo sconosciuto si siede accanto a noi in autobus o in aereo, comincia una triste lotta per il territorio in cui il campo di battaglia è il bracciolo. Cominciamo a fare una serie di movimenti impercettibili con il gomito per spingere l’altro fuori da questo territorio comune. Combattiamo anche con i piedi.
È un braccio di ferro dissimulato, millimetrico, muto. Un duello silenzioso in cui vince chi resiste più a lungo al contatto con le estremità dell’altro.
Ogni viaggio comincia con la rinuncia alla nostra comodità, con l’ammissione che l’unico territorio che ci appartiene è quello occupato dal nostro corpo. Il vero viaggiatore non è chi è senza pregiudizi e ama tutta l’umanità: è chi diventa più consapevole dei suoi pregiudizi man mano che abbandona la sua zona di comfort. Dopo aver combattuto interiormente con l’idea di condividere il nostro spazio con uno sconosciuto, arriva il momento in cui togliamo il gomito dal bracciolo. Riusciamo a rilassarci e a dormire nel nostro angolo. Dopo qualche ora di volo ci svegliamo, ci guardiamo intorno e siamo persino capaci di sorridere alla mamma con il bambino frignone. Abbiamo rinunciato a mantenere il controllo. Siamo in viaggio.
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Per la lettura integrale dell’articolo cfr. Internazionale 1164-1165-1166 del 29 luglio 2016