Alfonso M. Iacono - IL TIRRENO 1 febbraio 2016
Alfonso M. Iacono
IL TIRRENO
1 febbraio 2016
L’equiparazione dell’unione civile con il matrimonio, secondo me, è sacrosanta.
Lo è da un punto di vista sociale e assistenziale, lo è rispetto ai figli, lo è rispetto al genere. Il documento finale del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana suona così:
“Si è espressa la consapevolezza di dover annunciare il vangelo del matrimonio e della famiglia, difendendo l’identità della sua figura naturale, i cui tratti sono recepiti nella stessa Carta Costituzionale”.
Non voglio entrare nel merito interpretativo, semantico e filologico della Carta Costituzionale, ma più semplicemente commentare la dichiarazione secondo cui la figura del matrimonio e della famiglia deve essere ricondotta alla sua condizione naturale.
E’ la parola ‘naturale’ che fa problema e mette a disagio. Cosa c’è di naturale nel nostro essere donne e uomini? La nostra condizione biologica. Ma è questa, per quanto imprescindibile, a determinare interamente la condizione umana e a distinguerla da quella degli altri animali? Ovviamente no, perché se così fosse, risulterebbe curiosamente inutile oltre che superfluo parlare di anima o di spirito. E se di anima o di spirito possono fare a meno i materialisti, di sicuro non ne possono fare a meno le religioni. Ma anche i materialisti stessi, tranne forse i più estremi, pensano che la natura umana è fatta se non di anima o di spirito, certamente di cultura, di pensiero, di linguaggio. Ma la cultura, il pensiero, il linguaggio sono quella condizione che rende gli uomini capaci di trasformare la natura e di fare storia. Il Cristianesimo è fatto di storia. E la storia è mutamento.
Probabilmente la condizione specifica degli esseri umani è quella secondo cui la costruzione di un mondo artificiale determina la nostra stessa natura biologica. Come umani non siamo dotati di una potente tecnologia naturale. Non abbiamo zanne, né pelame, né artigli. Abbiamo la mente e il linguaggio grazie a cui riusciamo a sopperire alle nostre mancanze naturali, fabbricando case e producendo abiti, scarpe, automobili, armi, oggetti che ci proteggono e ci potenziano nel bene e nel male. Cosa vi è di naturale in tutto questo? La natura noi la trasformiano a nostro vantaggio, anche se siamo arrivati a un punto tale che forse questo stesso vantaggio si sta a sua volta trasformando in pericolo (mi riferisco ai danni ambientali e all’inquinamento).
Ma cos’è natura? E cos’è naturale? Spesso il riferimento alla natura diventa norma di qualcosa che naturale non è. Il matrimonio non è certo naturale, è culturale, e, a maggior ragione se è sacro come quello religioso. Ma se anche ci si volesse rifare alla natura come norma sociale, scopriremmo che, per esempio, l’omosessualità è nel mondo animale assai diffusa.
Se invece si pensa che il matrimonio debba essere ricondotto al suo fine naturale che è la generazione, allora dovremmo arrivare alla conclusione che l’amore da un lato e l’erotismo dall’altro sono mezzi per il fine naturale, una astuzia della ragione, come direbbe Hegel.
Ora, siamo d’accordo che una casa è fatta per ripararci e per abitarci, e questo è il suo fine, ma una casa bella, progettata e costruita da un artista, non va forse oltre quello stesso fine? E questo vale anche per una basilica, luogo sacro dove si ama e si adora Dio. Si tratterebbe allora, in questo caso, di una distorsione del fine naturale dell’abitazione? Certamente no.
E’ invece la presenza del simbolico di cui sono fatti anche l’amore e l’erotismo che rendono umano il sesso anche tra persone dello stesso genere. Se le donne e gli uomini sono dotati di sapere simbolico e di cultura, grazie a cui trasformano la natura per sopravvivere e per vivere, perché non possono amarsi e far crescere insieme figli, anche se sono dello stesso sesso?