Gli endecasillabi della prosa della vita quotidiana
Rosario Livatino entra in magistratura all’età di ventisei anni, il 18 luglio del 1978.
«Ho prestato giuramento – annota nella sua agenda – ; da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni emi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l'educazione, che mi miei genitori mi hanno impartito, esige».
La tesi che Trasimaco espone di fronte a Socrate nella Repubblica di Platone (428 – 347 a.C.) suona proprio nel senso del positivismo giuridico assoluto: «Ecco, amico mio, in che consiste quella giustizia che io affermo essere sempre la stessa in tutte le città: ciò che giova al potere costituito. Esso ha, infatti, la forza; d’onde, per chiunque ragiona rettamente, segue che, ovunque, il giusto consiste sempre nella stessa cosa, in ciò che giova al più forte (Platone, Repubblica, 338e)».
Nel grande vuoto di valori restava in ogni caso incontestato l’antecedente filosofico dell’assolutismo positivistico, che cioè, diritto e morale non avrebbero fra loro alcunché in comune, poiché il primo sarebbe costituito da un complesso di leggi eteronome che traggono origine esclusivamente dal potere del più forte e il secondo sarebbe costituito dalla libera e autonoma espressione delle emozioni e della sensibilità di ciascun individuo. Dunque, insieme alla legge, rischiava anche di smarrirsi il riferimento del diritto alla razionalità umana, che ne costituisce la nota specifica.
« (…) Ma i santi non si sono santificati con tale atto o con tale altro atto eroico isolato, bensì per la fedeltà con cui hanno cercato di compiere ogni giorno la volontà di Dio nei piccoli doveri quotidiani. La santità consiste non tanto nel fare cose straordinarie ma nel fare in modo straordinario le cose ordinarie della vita di ogni giorno (Josè Saraiva Martins, Come si fa un santo, Piemme, Casale Monferrato [AL] 2005»
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Da Rosario Livatino – Il Giudice Santo – Ed. Shalom