La gioia dello sapere
EDITORIALE
SERIE IPOTESI, STATISTICHE, SFIDE REALI STUDIARE FA (PIÙ) FELICI
LEONARDO BECCHETTI
Le recenti considerazioni della ministra Valeria Fedeli sull’obiettivo dell’istruzione obbligatoria a 18 anni (come in Germania) «per aumentare il benessere dei cittadini» hanno solidissimi fondamenti. L’ultima indagine dell’Eurobarometro (2016) rileva che la quota dei cittadini soddisfatti della propria vita è al 56% tra coloro che hanno smesso di studiare pr
ima di 15 anni, sa
le a 67% tra chi ha smesso tra i 16 e i 19 anni, s’impenna sino al 74% tra chi ha concluso gli studi oltre i 20 anni per arrivare, infine
, all’85% tra chi sta ancora studiando. Quasi 30 punti percentuali tra il livello minimo e massimo di istruzione sono un dato impressionante.
Come sappiamo per verificare un rapporto di causalità tra due variabili bisogna controllare una serie di fattori concomitanti. La vasta mole di letteratura scientifica in materia conferma però questo dato descrittivo, rilevando che un anno in più di istruzione aumenta la soddisfazione di vita, il capitale sociale (e con esso la capacità di cooperare creando valore sociale ed economico), il reddito e le opportunità occupazionali. Studiare, insomma, fa (più) felici o almeno soddisfatti. Non vale per tutti, ma è vero. E ne abbiamo le prove. Anche in Italia dove i 'rendimenti economici della scolarizzazione' sono tra i più bassi, per via di un sistema fatto prevalentemente di piccolissime imprese che valorizza meno i titoli di studio delle grandi, i laureati guadagnano mediamente il 40% in più dei diplomati e i laureati biennali hanno un tasso di occupabilità del 10% superiore a quello dei diplomati. C’è di più, gli studi sulle determinanti della salut
e indicano che le differenze medie di aspettativa di vita tra scolarizzazione massima e minima possono arrivare a 5-6 anni. L’istruzione aiuta ad adottare stili di vita più sani e ad orientarsi nella complessità delle cure mediche.
Nel famoso discorso alla Società delle Nazioni Keynes ricordando il valore dell’istruzione dice che essa è quella cosa che consente a chi ha studiato di dare enormemente più senso e significati a uno stesso oggetto o situazione rendendo la vita più ricca e degna di essere vissuta. Vogliamo poi parlare del valore dell’istruzione (e della formazione permanente - lifelong learning - fondamentale in epoca di globalizzazione e industria 4.0) come antidoto alle sirene populiste e all’analfabetismo di ritorno?
L’istruzione e la formazione sono le risorse chiave per reddito e lavoro, ma anche e soprattutto qualcosa in più. Sono esse stesse nutrimento e obiettivo dell’uomo cercatore di senso. Altrimenti varrebbe l’obiezione di un noto giornalista sul caso Donnarumma, il giovanissimo e già straricco portiere del Milan che ha saltato quest’anno gli esami di maturità: se l’istruzione serve solo a cercare lavoro e a guadagnare di più perché Donnarumma dovrebbe maturarsi?
Leonardo Becchetti
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Per la lettura integrale dell’articolo cfr. Avvenire, 28 agosto 2017
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