Ma potremmo salutarci, il sorriso affiora dalle labbra anche se coperte dalla mascherina che ci copre ma si riflette nell'espressione degli occhi.
Ci allontaniamo quando ci rendiamo conto che potremmo incrociarci.
L'atteggiamento ci ferisce, entrambi, per averlo tenuto e per averlo subito.
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Ma potremmo salutarci,
il sorriso affiora dalle labbra anche se coperte dalla mascherina
ma si riflette nell'espressione degli occhi.
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L’atmosfera surreale e, a tratti, anche preoccupata, nella quale siamo immersi in questi giorni, ci induce talvolta ad oscillare, più volte al giorno, nell’incerta successione delle fasi della nostra vita, come è naturale che sia, quando capita che il futuro si leghi, non più alle nostre orgogliose ed oniriche proiezioni, frutto anche di precarissime certezze, ma all’essenziale, quello che nel corso della nostra esistenza siamo grati a noi stessi di avere afferrato, quando lo abbiamo incontrato, anche se poteva sul momento sembrare del tutto normale, finanche banale al punto da considerare l'idea di rinviarlo.
Mi è curiosamente tornata in mente una conversazione a margine di quello che, in linguaggio tecnico – giuridico, si chiama “stillicidio”, volendo identificare il fenomeno che investe l'obbligo di un proprietario confinante di non far cadere acqua nel fondo del vicino; niente di più banale (?) per un militare di leva ed un sottotenente A(lievo) U(fficiale) di C(omplemento), come si chiamava all’epoca in cui c’era ancora la leva obbligatoria, entrambi impegnati, dopo essere stati garbatamente cooptati dal comandante in quanto entrambi laureati in giurisprudenza: un sopralluogo lungo le mura della caserma di artiglieria di Modena, pareti visibilmente interessate, ci dicemmo in quella parentesi professionale, che faceva ad entrambi sentire l'aria di casa.
E come gadget aggiuntivo di quell'intero servizio avemmo anche la possibilità di passeggiare tranquillamente per un po’ quand’anche fossero le dieci di mattina. Nella sua sorprendente capacità di restare con la mente ai suoi studi, in prevalenza di storia, l’AUC mi spiegò l'origine del saluto militare, probabilmente legato al gesto dei cavalieri medievali che, prima di affrontare l'avversario, alzavano la visiera, in omaggio al nemico che avevano di fronte, un saluto che veniva espresso a rischio della vita, visto che mostrare gli occhi, non solo significava rendersi irrimediabilmente vulnerabili per qualche istante, ma anche rischiare che l'avversario intuisse lo stato d'animo di quel momento; peraltro tutto trascorreva, sembrava dire più a se stesso che me, così come guardava la campagna circostante, senza inattese conseguenze, e ciò solo per una fondamentale e saldissima condivisione del valore della lealtà tra i contendenti.
Confesso che, come forse il mio interlocutore intuì, non ero molto interessato alla rievocazione storica, ma all'essenza del saluto tra persone che non si conoscono, dischiusa da quella conversazione che, attraversando gli anni (molti), è, per innumerevoli volte, riapparsa nella quotidiana esperienza dell'incontro.
Ci si saluta in montagna, durante le passeggiate estive, nei colori illuminati ed espansi dal calore del sole, propri di un ambiente “altro”, non solo per la sua incontaminata bellezza ma anche per le insidie che può riservare a chi non lo rispetta, un valore condiviso tra le persone che si incontrano e che, appunto, si salutano.
Ci si saluta mentre si fa sport all'aria aperta e, qualche, volta, ancora lo si fa, quando si abbandona il posto sul treno dal quale ci si appresta a scendere.
Ci si saluta quando si condivide qualcosa di bello, come lo sono gli attimi in cui si cerca la poltroncina nel palco al teatro, mentre l'abbassarsi intermittente delle luci segnala l'imminenza dello spettacolo; oppure quando ci si scambia una semplice cortesia, magari lasciando il posto per l'auto, quando ormai non serve più, e ce lo chiedono, mentre facciamo manovra.
Per il resto, la mancanza di questo gesto, rarefatto fino ad eclissarsi levandosi dalle innumerevoli pulsazioni consumate su notebook e smartphone, ci ha progressivamente un po' privato della presenza dell’altro, scarnificando l'incontro, proprio nell'attimo che ci offre un piacere misto a necessità, esattamente come quello di un respiro, che si ripete, costantemente, e del quale ci accorgiamo solo quando viene a mancarci.
E questo è l'aspetto che, al di là delle improvvide iniziali minimizzazioni, segno di una scarsa consapevolezza, maggiormente ci spaventa del Covid 19, ossia il fatto che possa compromettere la capacità respiratorie.
Paradossale. "Ironic", come nella lingua più moderna al mondo, quella della nostra contemporaneità, nell'accelerazione incontrollabile della temporalità, come dice Recalcati, ad identificare, non tanto ciò che suscita una sottile ilarità come l'ironia in italiano, ma ben diversamente, ciò che ci sorprende, anche negativamente, ossia qualcosa di paradossale, tale da disarticolare il perimetro delle mappe cognitive mediante le quali leggiamo e percorriamo il mondo.
E' infatti paradossale che un'entità microscopica, come il Covid 19, la cui sopravvivenza è legata alla relazione, nella sua più inquietante e deteriore componente, con l’essere del quale costituisce il parassita, e del quale tende a fagocitare l'identità, ci riporti all'essenza propria della relazione tra gli esseri umani, dove «non ci sarebbe l'altro se non ci fossi io» come amava dire Camilleri, e dove la relazione non toglie nulla gli uni agli altri ma, semmai, regala sempre qualcosa, essendo naturalmente impostata nella logica del dono e della gratuità.
Non paghiamo né vantiamo alcun merito per incontrare qualcuno per strada, né per chi ci è amico o per essere amici di qualcuno.
E proprio adesso che l'essenziale è quanto di più vicino al futuro di tutto ciò con cui entriamo in contatto, riconsideriamo come i valori e i beni, che ci siamo troppo prematuramente abituati a considerare esclusivi, siano parte di una relazione permanente: la stessa salute, finita per lungo tempo ad essere coltivata nella logica di un illusorio e a tratti nevrotico benessere personale ed esclusivo, spesso anch'essa scarnificata nella logica dell'apparenza di un essere umano assai poco realisticamente perfetto, risulta adesso un bene che riscopriamo umile, legato alla terra ed all'essenziale, condiviso, adesso che il fare di tutto per stare bene (senza il bisogno di mostrarsi a chi neanche può incontrarci) risulta un bene anche per gli altri.
In quest'ordito di riflessioni nate nella condizione nella quale il decreto "Io resto a casa", giustissimamente, ci mantiene, si può allora compiere un passo ulteriore, scendendo, dalla lingua della modernità e dall’ironic {[A stop sign ironically defaced with a plea not to deface stop signs - Un segnale di stop ironicamente deturpato da un appello a non deturpare i segnali di stop.] - A literary technique in which what is written or stated is different from or the opposite of what is expected - [Una tecnica letteraria in cui ciò che è scritto o dichiarato è diverso o l'opposto di ciò che ci si aspetta]} ad una lingua antica come il latino, nella quale la nostra lingua affonda le proprie radici e che affida il saluto alla parola "Salvē", un avverbio, ossia una parte del discorso non declinabile e teso ad identificare l'augurio di stare "in buona salute, bene, prosperamente", quantomai appropriato in questo momento in quanto naturalmente declinabile nella relazione che si stabilisce ogni volta che ci incrociamo e calcoliamo la distanza alla quale questo incrocio può avvenire e che può immediatamente curare la ferita che ci procura il fatto di distanziarci evitando lo sguardo.
Il contagio NON si realizza con i raggi fotonici degli ufo robot che ci facevano compagnia quando quelli della nostra generazione di quaranta e cinquantenni erano bambini, e non vi è pertanto motivo alcuno di evitare lo sguardo.
Mentre potremmo rischiare di contagiarci con il senso dell'esclusione che genera l'evitamento dello sguardo ed il distanziamento fisico tra volti spesso coperti da una mascherina.
Restiamo a casa certamente e, quando usciamo per le più strette necessità, potremmo sin da subito cominciare a curare le ferite salutandoci: il sorriso affiora dalle labbra anche se coperte dalla mascherina, ma si riflette nell'espressione degli occhi.